RASSEGNA STAMPA
LA REPUBBLICA -
Assalto alla Diaz, una violenza "mediatica"
Genova, 1 agosto 2010
Assalto alla Diaz, una violenza "mediatica"
Le motivazioni della sentenza d´appello: il blitz deciso per riscattare l´immagine della polizia
I giudici: "L´enormità di questi fatti hanno gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero"
MARCO PREVE
Alla fine il massacro di decine di persone, gli illeciti commessi da super poliziotti e una ferita sociale che ancora non si è rimarginata, sono solo una questione "d´immagine". Tutto questo per poter annunciare in televisione un successo, regalare fiducia ai cittadini e ottenere garanzie per la propria carriera.
Ecco la notte cilena della Diaz nelle 313 pagine delle motivazioni della sentenza d´appello: «L´origine di tutta la vicenda - si legge - è individuabile nella esplicita richiesta da parte del Capo della Polizia (all´epoca Gianni De Gennaro, ndr) di riscattare l´immagine del corpo e di procedere a tal fine ad arresti, richiesta concretamente rafforzata dall´invio da Roma a Genova di alte personalità di sua fiducia ai vertici della Polizia che di fatto hanno scalzato i funzionari genovesi dalla gestione dell´ordine pubblico».
La terza sezione penale della Corte d´Appello (presidente Salvatore Sinagra, consiglieri Francesco Mazza Galanti e Giuseppe Diomeda) ricostruisce così la "macelleria messicana" del luglio 2001.
«L´esortazione ad eseguire arresti - si legge nella sentenza - di per sé considerata, anche fosse indicativa di rimprovero implicito per precedente colposa inerzia, sarebbe stata comunque superflua, essendo in ogni caso gli operatori di polizia giudiziaria tenuti ad eseguire gli arresti nella ricorrenza dei presupposti di legge...Ma anche per procedere alla perquisizione non è sufficiente un sollecito da parte del Capo della Polizia, bensì occorre pur sempre il sospetto della presenza di armi illegalmente detenute».
Eppure spiega la Corte d´Appello la polizia avrebbe dovuto capire che questa strategia era «fallimentare» come aveva dimostrato poche ore prima un´analoga perquisizione all´istituto Klee coordinata da Francesco Gratteri (oggi capo dell´antiterrorismo) con 23 arresti 21 dei quali erano stati immediatamente rimessi in libertà per mancanza di indizi.
Invece ecco la decisione di dare l´assalto alla Diaz: «Constatato l´esito disastroso dell´irruzione, l´inesistenza dei cosiddetti black bloc e l´assenza di armi, la necessità procedere agli arresti e di giustificare le numerose e gravi lesioni inferte, ha indotto i due massimi dirigenti (Gianni Luperi oggi capo dell´intelligence italiana e Fancesco Gratteri, ndr) che conducevano le operazioni a coordinare l´attività di confezionamento di un complesso di false accuse che fosse apparentemente idoneo a giustificare arresti e violenze». Da qui in poi le false accuse di resistenza, le false molotov, il falso accoltellamento di un agente. Da qui un passaggio pesantissimo della sentenza: «L´enormità di tali fatti, che hanno gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero, non rende seriamente rintracciabile alcuna circostanza attenuante generica».
Vittorio Agnoletto, ex portavoce del Genoa Social Forum, e Lorenzo Guadagnucci, giornalista, una delle vittime del pestaggio alla Diaz, chiedono che i dirigenti condannati si dimettano. «Le motivazioni della sentenza di seconda grado - spiegano in una nota - confermano la ricostruzione storica dei fatti compiuta dai Pm e da sempre sostenuta dal movimento e dalle vittime. Questa esplicita attribuzione di responsabilità al vertice della polizia rende ancora più inopportuna la permanenza dei dirigenti condannati, a cominciare dal massimo livello, ai loro posti».